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venerdì 14 ottobre 2011

Il gioco del nascondino

<span>Succedeva sempre d'estate durante le vacanze scolastiche. I giorni erano lunghi e la sera la temperatura era piacevole, il sole tramontato lasciava il campo libero. Quel periodo fra le sette e le nove, prima di cena quando i ragazzi escono e i papà non sono ancora tornati. Accadeva che si improvvisassero i giochi. A quattordici, quindici anni il preferito era il nascondino. Sapevamo tutti il perché ma era una scusa legittima per appartarsi e far finta di giocare. Il campo da gioco erano una serie di palazzine all'interno di un grande giardino coi suoi cespugli, gli ingressi, le scale, gli ascensori e i sottoscale. Chi cercava aveva un bel da fare. Così una sera mi trovo schiacciato contro una coetanea, che mi fissava spesso, in un sottoscala non lungo da cui si accedeva alle caldaie.
Si faceva in modo di non nascondersi tutti nello stesso posto. Per cui ogni importuno veniva indirizzato altrove. Mi metto di spalle davanti a lei per nasconderla cavallerescamente spingendola contro la porta,  cercando un contatto. Le sue braccia mi cingono e le mani stringono sul mio addome e cominciano a carezzarmi su e giù. La maglietta si alza e mi tocca la pelle continuando a carezzare. Le va bene questo schiacciamento, penso io. Mi giro e l'abbraccio anche io. Niente parole. Ci baciamo freneticamente. Sappiamo di avere pochissimi secondi. Mette una mano sui pantaloni una erezione lampo e poi mormora, no, no. Le esploro tutta la schiena e il culo. Spinge l'inguine verso avanti mente rantola no, no. Però continua a spingere ritmicamente l'iguine  in avanti e mi decido. Tiro giù la lampo, esce la mia erezione e a forza la abbasso per passarla fra le sue gambe. La gonnellina si era sollevata come per magia. Le metto il cazzo fra le gambe. Stavo impazzendo e lei pure. Le mutande saldamente a posto ma, bastava così. Poco dopo lei trema a lungo e ansima, mentre io godo di quel calore che quell'angolo fra le carni di donna mi da e ondeggiamo insieme Pochissimi istanti. Vengo a fiotti. Si ferma un secondo sorpresa. Le ho bagnato tutto. Non si perde d'animo. Si abbassa la gonna e si pulisce meglio che può, sguscia via e sparisce.
Mi trovano, ma solo. Il gioco finisce. Ci ritroviamo tutti nel punto centrale. Qualcuno chiede di lei e io rispondo vagamente che "penso sia stata chiamata da casa".
Rientro anche io con la testa che ronza. Vado in bagno e mi metto a posto. Ho paura di avere le gote rosse e dover rispondere alle domande inquisitorie di mia madre.
Ma mi era piaciuto, cazzo se mi era piaciuto. Chissà cosa si prova oltre quel punto mi chiedevo con gli occhi fissi al soffitto, sdraiato sul letto e con una erezione che cominciava di nuovo ad indicare il cielo.

lunedì 10 ottobre 2011

Pausa

La mia “maestra” mi chiese: ti fanno male i reni? Io meravigliato ci pensai su. Si, è vero, mi facevamo male i reni ma l'anticipazione e l'adrenalina tenevano tutto a bada. "Si" le risposi e lei, sorridendo, col sorriso compiaciuto: "allora significa che vuoi scopare". Accidenti, ma come lo sapeva? Io non me ne ero mai accorto. Si adagiò e mi prese. Era, come sempre, bagnatissima. Io, imbranato, la lasciavo fare. Lei mirò subito ad un primo orgasmo quieto e ansimante. Solo le piccole convulsioni mi dicevano che stava venendo e la copiosità dei suoi umori. Si mosse poco dopo e mi pregò di finirla. Mi mossi in modo rapido, lo stimolo era scemato con tutta quella panna ma continuai. Venni dentro di lei e mi schiantai senza ritegno in un fremito sconvolgente. Giacemmo per un poco ma il desiderio ritornò, lei sorrideva. Mi prese in mano e mi tirò nuovamente su di se. Solo missionaria, solo così voleva. Sei giovane, sussurrò, mentre si apriva ancora. Riusciva a tirare le gambe completamente indietro, una vera contorsionista. Affondai perduto in quella offerta, lei voleva condurre il gioco. La lasciai fare al suo ritmo. Non avevo nessuna resistenza, perduto nel suo mare. Gemette piano ancora fino ad un rilassamento completo. Poi presi il mio piacere piano, come lei mi aveva insegnato a fare. Ci rivestimmo e uscimmo. Tornai in ufficio con le gote rosse. Una signora di mezza età mi diede uno sguardo schifato d'invidia. Si vedeva? Tornai a concentrarmi sul mio lavoro.

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